IL NOSTRO MERAVIGLIOSO TERRITORIO:

Pergine Valdarno: piazza del Comune.

Panorama da Laterina.

Pergine Valdarno: scelto dall'Unione Europea insieme ad altri 11 comuni del continente per far parte del progetto "Villaggio Culturale d'Europa".

Castello di Montozzi: parte della villa padronale.

Pergine Valdarno: Il Cristo degli Olivi.

Laterina.

Pergine Valdarno: il lago.

Laterina: zona delle Pievi, particolare primaverile.

Vitereta: la fattoria.

Il castello di Montozzi: Panorama.

Il vino: prodotto tipico della zona.

Pieve a Presciano: le vigne.

Riserva naturalistica Valle dell'Inferno e Bandella.

Ponte Romito: I resti del ponte di Leonardo Da Vinci sul fiume Arno.

Montelucci: la fattoria resort

Il Santuario di Migliari.

Montalto: la chiesa dell'Ascensione.

Riserva naturalistica Valle dell'Inferno e Bandella: il tour in barca nei mesi estivi.

Il castello di Montozzi visto da Pieve a Presciano.

Pergine Valdarno visto dalla regionale 69.

Pieve a Presciano: Panorama.

Le olive: prodotto tipico della zona.

Casanuova: Particolare.

Pergine Valdarno.

Pergine Valdarno e Montozzi sullo sfondo.

Pergine Valdarno: Piazza del Comune. Una scritta sul muro di una casa risalente al periodo della guerra.

Laterina: strada bianca lungo il fiume Arno. 

Casanuova: il presepe meccanico.

Laterina: la piazza.

Villa Monsoglio.

Pieve a Presciano: Chiesa di San Pietro, l'antico organo Paoli del 1869.

Il borgo di Cacciano: la chiesa.

Dintorni del castello di Montozzi.

Laterina.

Ponticino: l'antico ponte che da il nome al paese.

Vitereta: la chiesa.

Pieve a Presciano: percorsi di campagna.

Dintorni di Pieve a Presciano: l'antica strada romana.

Pergine Valdarno: particolare del Cristo degli Olivi.

Laterina: particolare del campanile della Chiesa dei Santi Ippolito e Cassiano.

Dintorni di Ponticino: località San Martino.

Pieve a Presciano: particolare dei pezzi del museo parrocchiale.

Villa Monsoglio: gli interni.

Castello di Montozzi: parco e villa padronale.

Ponte Romito: la confluenza del torrente Agna nel fiume Arno.

Dintorni di Laterina.

Tramonto nei dintorni di Pieve a Presciano.

Il fiume Arno.

Interno del Santuario di Santa Maria in Valle.

Castello di Montozzi: interno della villa padronale.

UNA ZONA 

STRAORDINARIA  NEL CUORE DELLA TOSCANA

LATERINA:

Storia:

Il territorio di Laterina fu abitato fin da tempi molto antichi, come testimoniano gli stanziamenti etruschi ad Impiano ed i probabili insediamenti romani dell'epoca augustea presso l'antica Pieve di San Cassiano.
Lo stesso toponimo di
Laterina, d’altronde, sembra risalire al latino "later" o "lateris", vale a dire mattone, a significare, quindi "fabbrica di mattoni", a riprova di ciò sta la natura argillosa del terreno e la continua presenza, fino ai giorni nostri, di numerose fornaci.

Ma lo sviluppo dell’antico borgo si ebbe a partire dall'undicesimo secolo, dopo quell'anno Mille che anziché i tanto attesi sconvolgimenti apocalittici che l' "homo medievalis" temeva sopra ogni altra cosa, portò a profonde trasformazioni sociali che indussero le popolazioni stanziate sulla pianura, o in gruppi di case sparse per la collina, a riunirsi all'interno di un castello, un po' per motivi di sicurezza ed un po' per trovarsi nei pressi dell'allora ultimata strada maestra, la più importante via di comunicazione e di traffici commerciali del Valdarno.

Nel 1272 Laterina entra nella storia della regione, con la presa di possesso dell'Arezzo ghibellina che ne voleva fare una "terra fortificata" contro l'espansione in Valdarno dei guelfi fiorentini. Ma gli Ubertini, antica e nobile famiglia suddita dell’imperatore, persero il castello nel 1288, dopo otto giorni di assedio da parte dei fiorentini che dieci anni dopo, per fortificarlo e renderlo inespugnabile, vi costruirono la Rocca. Tutto questo però non bastò perché nel 1304 gli Ubertini riconquistarono Laterina consegnandola di nuovo ad Arezzo.

Laterina ebbe anche importanza religiosa: nella bolla di Innocenzo III la vediamo a capo di 17 chiese. Quando la diocesi fu divisa in vicariati, Laterina venne posta a capo di uno di essi, ed a comandarlo vi furono importanti famiglie sia di Firenze che di Roma. Anche l’ambiente culturale di Laterina nel 1300 era molto evoluto, vi si trovavano infatti numerosi notai e precettori.
Gli
intrighi politici, i cambiamenti di alleanze e gli interessi personali mutarono di nuovo il corso della storia e tra il 1326 ed il 1336 successe davvero di tutto. Il vescovo di Arezzo Guido Tarlati, rivale degli Ubertini, fece distruggere Laterina
e disperdere gli abitanti nelle campagne circostanti ed il suo successore, che era un Ubertini, ma intenzionato a circondarsi di amicizie influenti per consolidare la sua posizione, la fece riedificare cedendola alla Repubblica Fiorentina.
Negli anni successivi si susseguirono i tentativi di sommossa ad opera dei ghibellini ma ormai la secolare contesa tra Arezzo e Firenze si avviava verso l'epilogo: il
5 novembre 1384, proprio a Laterina, sconfitta ed occupata militarmente dall’esercito francese alleato dei fiorentini,
veniva consegnata a Firenze.
Un'altra data da ricordare è il
1744, anno in cui viene istituita la comunità distrettuale della Valdambra, di cui Laterina viene a far parte, ma della quale alla fine del secolo verrà separata per essere
unita alla podesteria di Montevarchi.
Dei
tempi medievali restano a Laterina numerose testimonianze: delle costruzioni difensive rimangono alcuni tratti delle mura, due porte e parte della Rocca. Le mura nel corso dei secoli hanno subito molti danni, oltre che per le battaglie, per la presenza, nelle immediate vicinanze, di cave di rena. Più volte, negli Statuti comunali del XVI secolo, si trovano disposizioni volte a limitare l’incuria degli uomini.

 

Turismo:

Il paese si è esteso nel piano sottostante il suo antico aggregato, ma conserva ancora perfettamente il centro storico che sorge su un colle che domina la pianura dell'Arno. La struttura urbanistica è modellata longitudinalmente e si è adattata alla morfologia del crinale su cui appoggia. La cinta muraria fa da limite al paese che si affaccia sulle scoscese pendici del colle. Il centro antico è costituito da tre strade parallele: quella centrale, la Via di Mezzo. termina ad est con la Rocca e ad ovest con la Torre Guinigi.

Le altre due hanno un andamento leggermente curvilineo che si adatta alla forma del colle. Più esternamente si snodava il percorso a ridosso della cinta muraria, oggi riconoscibile solo a tratti. Nella parte nord-est, accanto alla Torre Guinigi, da via S. Giuseppe si raggiunge la Porta Fredda (detta anche Porta di Ghianderino). Questa è la sola porta che resta delle tre originarie, ed è l'elemento architettonico che più ci ricorda le antiche mura, fatte di conci d’arenaria e pietre d'Arno. Vicino a questa porta sorgeva la Chiesa di S. Lorenzo e S. Andrea, una delle chiese di popolo, nel luogo dove oggi si trova il Teatro Comunale. Al centro del paese si trova la piazza dove sorge la Chiesa dei santi Ippolito e Cassiano, che ha ripreso questo titolo dall’antica Pieve che sorgeva fuori delle mura.

Su un fianco della chiesa è visibile un resto di mosaico romano proveniente sempre dalla Pieve. All'interno, sul fondo una Madonna, dipinto attribuibile alla scuola di Andrea del Sarto, che faceva parte di una composizione molto più grande che raffigurava anche alcuni santi. A sinistra, entrando, si trova un affresco quattrocentesco raffigurante la Vergine in trono col Bambino.

 

 

La chiesa, di origine medievale, fu distrutta da un terremoto ed é stata ricostruita all'inizio del '900. Un’altra Chiesa, oggi destinata a luogo per manifestazioni culturali e biblioteca, è l'Oratorio di San Rocco, costruito nel XVI secolo per devozione al santo protettore contro la peste, che in quei tempi ricorreva spesso in Valdarno. Poco sotto l'abitato di Laterina si trova il Santuario di S. Maria in Valle, dove fino a poco tempo fa il popolo si recava in pellegrinaggio per chiedere la pioggia o il sereno, secondo le necessità della campagna.

Appena fuori Laterina, lungo la via Vecchia Aretina, si trova la Villa di Monsoglio, una delle più grandiose ville dei dintorni di Arezzo. E' dotata di un grande giardino all’italiana e di interni decorati con affreschi. La villa è stata edificata su di un antico ospedale nato sulla strada (di probabile origine romana) che collegava la via Setteponti alla Cassia Adrianea, dall’altra parte dell’Arno. Fu la famiglia Peruzzi di Firenze che alla fine del Seicento trasformò l'ospedale nell’attuale villa.

Su una diramazione della via Vecchia Aretina si trova un'altra interessante costruzione, la Villa dell'lsola. Vi si trova una cappella nobiliare ed un grandioso parco ottocentesco. La facciata, che è rivolta verso San Cassiano, è di semplici ed eleganti architetture.
A poca distanza dalla Pieve di San Cassiano troviamo i resti del
Castello di Penna, che con i vicini castelli di Rondine e Monte sopra Rondine costituiva un'imponente struttura difensiva a controllo dell’importante viabilità tra le due rive dell 'Arno. Del castello originario, fatto distruggere dai fiorentini nel 1385, rimangono dei ruderi che però danno l'idea della grandiosità della costruzione. Accanto al castello si trova la Chiesa di San Lorenzo, menzionata già nel 1128 in un documento papale.

 

Visita al borgo:

Transitando per la via Vecchia Aretina il visitatore è colpito dal paese disteso sulla collina, immerso nel verde e sovrastato dal campanile “neogotico” della chiesa parrocchiale che svetta sopra i tetti delle case.
Avvicinandosi al borgo, non, senza aver osservato lungo la strada una delle tante ex tabaccaie disseminate in questo comune, si possono notare altre interessanti testimonianze della storia locale. Al giorno d’oggi dell’antico castello rimangono ampi tratti delle mura, tracce della porta di accesso che immette ora in via della Rocca, la bella porta del Ghianderino ad Est, la Rocca contornata da giardini privati e la Porta di Fiorentina. Da qui è possibile raggiungere la Sede del Centro Culturale San Rocco realizzato sui ruderi di un’antica chiesa, destinato ad ospitare la biblioteca comunale, convegni e mostri.
Sotto le mura castellane si trovano ampi parcheggi e una volta lasciata la macchina, si può facilmente raggiungere Piazza della Repubblica, attraverso una scalinata. Su questa piazza si affaccia la chiesa dei SS. Ippolito e Cassiano, ricostruita in questo secolo dopo le distruzioni provocate dal terremoto del 1919. Al suo fianco si nota l’edificio che fu sede del vicariato che conserva molti stemmi della facciata e tracce di affreschi al piano terra. Il palazzo dell’orologio, ubicato di fronte alla chiesa, è stato invece sede del Comune fino al XIX secolo.
Corso Italia è la strada principale del borgo e collega Porta Fiorentina con la Rocca. In detta via, oltre ad alcuni edifici di notevole interesse architettonico si trova anche l’oratorio della compagnia di S. Biagio. Da non dimenticare una passeggiata lungo le antiche mura castellane dalle quali si gode uno stupendo panorama della sottostante valle dell’Arno. Arrivando al parco pubblico posto al di fuori di Porta Fiorentina, svolgendo lo sguardo verso il Pratomagno, si intravede il caratteristico paesaggio formato dalle Balze valdarnesi.

 

 RISERVA NATURALISTICA VALLE DELL'INFERNO

E BANDELLA:

Fa parte del Sistema delle aree protette della Provincia di Arezzo. Tutte le stagioni sono adatte e attraenti per la visita: la Primavera e l’inizio dell’Estate consentono inoltre l’osservazione degli uccelli nidificanti, mentre l’Autunno e l’Inverno di quelli svernanti. Gli accessi preferenziali della Riserva sono due, entrambi con possibilità di parcheggio: da Pian di Chena, per chi proviene da Arezzo e dai Centri limitrofi (Laterina, Castiglion Fibocchi ecc.); da Ponticello per chi proviene dal Valdarno Fiorentino e in particolare dal Casello Valdarno della A1. Il Centro visita di Ponticello è organizzato per fornire informazioni utili alla visita, compresa la partecipazione a visite guidate, attività didattiche e culturali ed è attrezzato per la consultazione di documenti e materiali.
Dati di riferimento
tipologia: Riserva Naturale Regionale
superficie riserva: ha 526
superficie area contigua: ha 2164
comuni interessati: Laterina Pergine Valdarno, Montevarchi,  Terranuova B.ni
qualificazioni: iscritta all’Elenco ufficiale delle Aree protette dal 2.12.1996 proposta come Sito di Interesse Comunitario (SIC)
obiettivi:

Conservazione del patrimonio naturale;
miglioramento degli habitat;
promozione delle attività compatibili con la conservazione delle risorse;
promozione del turismo consapevole e di attività educative
informazioni: WWF Valdarno (Claudio Resti) 055 9703908
                    Legambiente (Marta Donati) 055 9171053
                    Lipu (Luca Fiorini) 0575 23899

 

PERCORSI:
 A) Centro servizi (Monticello) - capanni d'avvistamento - Pian di Chena:

Lunghezza: 2300 m.,  Tempo di percorrenza 0:45 H,  Percorribilità: facile
Lungo il crinale nelle vicinanze del centro servizi si ammirano le colline del Valdarno, il massiccio del Patromagno e la valle dell'Arno; in corrispondenza dell'ansa di Bandella è possibile osservare dal ponte omonimo, l'aria umida nel suo insieme; provenendo dal Centro Servizi, superato il ponte, con una piccola deviazione di un centinaio di metri, sia sulla sinistra che sulla destra, si accede alle strutture per l'avvistamento dell'avifauna.


B) Centro Servizi - capanni d'avvistamento - torrente Ascione - Centro Servizi:

Lunghezza: 4.000 m.,  Tempo di percorrenza: 1:15 H,  Percorribilità: media
Rappresenta il percorso più completo per osservare la grande varietà di ambienti presenti nella Riserva. Utilizzando il percorso A sino ai capanni di osservazione è possibile proseguire inoltrandosi per boschi e prati fino ad arrivare al punto panoramico nelle vicinanze di un laghetto artificiale; da cui si possono ammirare dall'alto i diversi ambienti presenti nell'aria e in particolare l'Ansa di Bandella; proseguendo si attraversa il torrente Ascione e si risale verso il Centro Servizi completando così un itinerario particolarmente suggestivo e panoramico.


C) Pian di Chena - torrente Agna - capanni d'avvistamento:

Lunghezza: 2.000 m.,  Tempo di percorrenza: 0:45 H,  Percorribilità: media
E' il percorso che permette di scoprire i boschi della riserva; attraversando fitti querceti si giunge in prossimità del torrente Agna nel punto di confluenza con l'Arno, da qui si prosegue sino al punto di osservazione panoramico che permette di osservare i ripidi versanti incisi dall'Arno ricchi di vegetazione; attraverso il sentiero che costeggia i coltivi si raggiunge l'itinerario A e si prosegue verso i capanni, per poi ritornare per la strada principale sino a Pian di Chena.

 

VILLA MONSOGLIO E DIGA DI LA PENNA:

Numerosi sono i piccoli agglomerati urbani, spesso di origine medievale, disseminati nel territorio laterinese. Usciti dal centro abitato e imboccata la Via Vecchia Aretina in direzione di Arezzo, dopo aver superato alcuni tornanti ci troviamo di fronte alla bella villa di Monsoglio, costruita dove si trovava il medievale “Ospedale dell’Isoletta”.

E' una delle più grandiose ville dei dintorni di Arezzo. E' dotata di un grande giardino all’italiana e di interni decorati con affreschi. La villa è stata edificata su di un antico ospedale nato sulla strada (di probabile origine romana) che collegava la via Setteponti alla Cassia Adrianea, dall’altra parte dell’Arno. Fu la famiglia Peruzzi di Firenze che alla fine del Seicento trasformò l'ospedale nell’attuale villa.

Sulla destra una strada costeggiata da cipressi ci introduce in un paesaggio agricolo che sembra uscito da una cartolina di altri tempi. Percorrendola arriviamo fino al minuscolo borgo della Penna, posto su un promontorio che domina l’Arno o meglio la diga che trae il nome proprio da questa località.

Questa strada sterrata, se vi guardate a destra e a sinistra, la ricorderete in quanto qua sono state molte scene del film di Leonardo Pieraccioni "Il Ciclone". 

I ruderi dell’antico castello de La Penna, dal quale si poteva controllare la scoscesa gola dell’Inferno, sono per buona parte coperti dalla vegetazione. Il castello è ricordato in un documento della fine del XIII secolo, mentre l’annessa chiesa di S. Lorenzo è citata già agli inizi del secolo precedente. Il fortilizio fu abbattuto, su disposizione della Repubblica Fiorentina, verso la fine del trecento.

 

SANTA MARIA IN VALLE:

Tornati a Laterina attraversiamo il moderno ponte dell’Arno per entrare subito in una strada bianca che corre lungo il fiume. Dopo alcuni chilometri si trova l’oratorio di S. Maria in Valle, risalente al XVII secolo, sorto in una località legata all’antico culto delle acque. Da quando, secondo la tradizione, vi sarebbe stata rinvenuta l’immagine di una Madonna il luogo è legato al culto mariano ed ancora oggi vi si svolgono delle solenni processioni.

 

PONTICINO:

Oltrepassato il fiume la strada sale fino alla statale 69 in località Ponticino.

Si tratta di una frazione che prende il nome del ponticello che attraversa il fosso del Ganascione. Il grazioso manufatto risale con molta probabilità al XVI secolo ma non è da escludere che sia sorto dove si trovava una preesistente struttura al servizio di un’antica arteria viaria. Lo sviluppo urbanistico di questa frazione risale al secolo scorso quando fu realizzata la nuova viabilità di collegamento con Arezzo che soppiantò la Via Vecchia Aretina.

E' il paese che ha dato i natali al celebre cantante Pupo che ancora oggi vive qua con la famiglia.

Sulla strada principale potete gustare il gelato nella gelateria di famiglia che naturalmente si chiama 'Gelato al cioccolato'.

 

CASANUOVA:

Un altro piccolo centro meritorio di un po’ di attenzione è quello di Casanova tra Laterina e Ponte Romito, con la chiesa dedicata a S. Pietro. L’edificio di culto, che ha subito molti rimaneggiamenti è ricordato nei sec. XIII-XIV come S. Pietro di Soppioro. Durante una delle tante trasformazioni alla chiesa è stato cambiato l’ingresso. Nonostante questi pesanti interventi che hanno modificato l’originaria struttura architettonica, all’interno sono ancora conservate tracce di affreschi e parametri che attestano la bellezza dell’edificio.

Casanuova contiene un autentico gioiello lasciato in eredità dal compianto parroco don Bruno Bernini, indimenticato personaggio che per ben 55 anni ha segnato la storia di questa frazione. Don Bruno, nato nel 1921, è morto nel 2014 in una casa di riposo dove era ricoverato.  

Personaggio eccentrico, attivo e aggregatore, capace di dialogare e di farsi voler bene da chiunque ha avuto la fortuna di parlare con lui anche una sola volta, don Bruno nei locali attigui alla piccola chiesetta, negli anni ‘80 inaugurò un piccolo presepe meccanico ancora oggi da allora perfettamente funzionante e realizzato grazie proprio a lui. Merita sicuramente una visita per la gioia di grandi e piccini.

Il presepe è inserito dentro una specie di museo della civiltà contadina in quanto a don Bruno piaceva raccogliere oggetti del passato in modo da tramandare quel modo genuino di vivere. Chicca finale, si può ammirare anche la zanna di un mammuth (anche se il cartello riporta la dicitura ‘elefante’) rinvenuta durante la costruzione della ferrovia alta velocità Napoli – Milano che passa in galleria a poche centinaia di metri da lì.

L’opera del presepe meccanico è sicuramente strabiliante se si pensa che il tutto è stato fatto in economia, cioè non con apparecchiature sofisticate ma con materiale alla portata di tutti i giorni. Per esempio, come si evince dalle foto attaccate nella parete vicina, il movimento centrale che regola il tutto è formato da una ruota da biciclette che a sua volta fa passare la catena nei rapporti del mozzo del movimento centrale della bicicletta stessa che a sua volta trasmette il movimento per far scorrere l’autostrada e la ferrovia. La capanna dove nasce Gesù è fatta da una botte da vino mentre sulla destra i movimenti sono trasmessi attraverso un’altra ruota da bicicletta. Nel meccanismo centrale è presente anche una falce da fieno di quelle che si usava una volta. Molti personaggi sono stati realizzati modificando gli omini del biliardino o calcino che dir si voglia.

Ad una prima visione si può pensare ad un’opera che rasenta la follìa: La scena che si presenta è la riproduzione dell’abitato di Casanuova e delle zone e i paesi limitrofi: Laterina, Ponticino, Montalto, Pergine Valdarno, l’Arno, la diga, le montagne del Pratomagno e tutto il resto compreso l’autostrada, la ferrovia cosiddetta ‘linea lenta’ e quella ‘direttissima’ con le auto e i treni che scorrazzano continuamente in su e in giù a regolare i ritmi della vita. Davanti alla capannuccia dove nasce Gesù un girotondo dei personaggi più strani, dalla sposa all’extraterrestre, dal tennista all’operaio che ad una prima occhiata stride molto con l’evento successo 2000 anni fa. Il tutto è regolato dal trascorrere del giorno e della notte, con l’alba e il tramonto che regalano davvero delle emozioni bellissime. Una voce fuori campo accompagna il visitatore ad apprezzare ancora di più le scene.

Tutto diventa invece comprensibilissimo se pensiamo al messaggio che ha voluto lanciare don Bruno con questo presepe, e cioè che Gesù è nato sì due millenni fa ma non è nato solo per la gente di quell’epoca bensì è nato anche per noi che viviamo oggi, che Gesù è sempre attuale ed è come se nascesse ogni giorno qua in mezzo a noi, nei nostri paesi, nelle nostre comunità, a portare il suo messaggio di speranza in ogni ora del giorno e della notte. I personaggi che passano davanti alla capannuccia stanno a rappresentare tutta l’umanità più varia, e questo vuol dire che Gesù è nato per tutti, per l’operaio, per la sposa, per il tennista ecc.... insomma per tutti. E se ci pensiamo bene questo è un messaggio straordinario davvero.

Per ammirare il presepe meccanico e il museo, solitamente chiusi, chiedere ai gestori della pizzeria che vi metteranno in contatto con i possessori delle chiavi.

  

 IMPIANO:

Per completare l’escursione del territorio laterinese è opportuno non tralasciare di fare tappa nei piccoli ma suggestivi centri agricoli di Impiano, dove un tabernacolo segna il luogo dove esisteva una volta una chiesa dei SS. Iacopo e Cristoforo, e Vitereta aggregato di origine medievale.

 

PERGINE VALDARNO:

Il territorio di Pergine Valdarno è posto quasi al centro del triangolo geografico Arezzo, Siena, Firenze. Occupa una parte del sistema collinare tra il Valdarno e la Valdichiana alla sinistra del fiume Arno. È attraversato dalla linea ferroviaria Firenze - Roma ed è servito dalle stazioni di Laterina o Ponticino, mentre con l'autostrada è facilmente raggiungibile dai caselli di Valdarno se si proviene da nord oppure Arezzo per chi arriva da sud. Il paesaggio, tipico della Toscana rurale interna, si presenta ricoperto dai boschi nella parte più elevata delle colline, coltivato a viti e olivi a metà costa e infine seminativo nella valle dello Scerfio e nelle terrazze alla sinistra dell'Arno. I centri storici e le unità poderali si collocano in posizione più elevata rispetto al fondovalle e conservano i tratti degli antichi impianti medievali. Questo contesto territoriale fonda oggi proprio sulle risorse paesaggistiche e sulle tipicità economiche (olio che si dice addirittura sia il migliore al mondo, vino anch'esso di ottima qualità e agriturismo) le potenzialità del proprio sviluppo. Accanto alla tradizionale economia agricola si è sviluppato anche un tessuto artigianale e industriale nel settore orafo, nella meccanica in generale e nella meccanica di precisione. Singolare per il genere è l'esperienza industriale relativa allo sfruttamento dell'anidride carbonica di cui il sottosuolo è molto ricco. Per quello che riguarda la storia le importanti stazioni preistoriche rinvenute nelle terrazze adiacenti i maggiori corsi d'acqua testimoniano la precoce frequentazione di questa zona da parte dell'uomo. Ma è stata soprattutto la civilizzazione etrusca e romana che ha lasciato significative impronte su questo territorio solcato da sempre da importanti direttrici viarie. Lo stesso nome Pergine pare riconducibile alla matrice culturale etrusca. Tra le testimonianze del periodo romano spicca un bell'esemplare di lamina rinvenuta in località Bagno sulla quale compare un'iscrizione imprecatoria rivolta alla divinità delle acque chiamate "acquae ferventes sive nimfas". La rete dell'insediamento, costituita dalle pievi, castelli e monasteri, ridisegnò nel medioevo la mappa degli abitati di questo territorio che si è protratta fino ai nostri giorni. Un ruolo di primo piano per quello che riguarda il territorio di Pergine valdarno la riveste la cultura. le manifestazioni pubbliche della "festa del ciclismo" nella frazione di Montalto con l'importante corsa riservata alla categoria elite e under 23 in piena estate, la "festa della vendemmia" nella frazione di Pieve a Presciano l'ultima settimana di agosto, la "festa dell'olio" a Pergine Valdarno tra la terza e la quarta settimana di novembre e il premio "cinema e socialità" nel capoluogo a luglio scandiscono i ritmi della vita e delle stagioni e assicurano buone opportunità culturali, economiche e sociali all'intera comunità. Pergine Valdarno oltretutto è il comune chiamato a rappresentare l'Italia nel "Villaggio culturale d'Europa" che consiste nello scambio di esperienze di vita, gastronomiche e folkloristiche fondato sull'ospitalità in famiglia con le altre famiglie europee coinvolte nello scambio stesso. Questa esperienza ha permesso così alle famiglie di Pergine Valdarno di avere una visione molto ampia nei confronti di persone di altri paesi e di essere molto aperti nel settore dell'ospitalità anche a livello di abitazioni private. Al limite est del comune si trova il fiume Arno dove si possono ammirare ancora i resti del vecchio ponte del Romito, che sembra certo sia quello dipinto da Leonardo Da Vinci nel più famoso quadro esistente al mondo, la 'Monna Lisa' o più comunemente detta 'La Gioconda'. E di questo ne viene parlato sotto.

Visita al borgo:

L'attuale chiesa parrocchiale, intitolata a San Michele Arcangelo, è citata nel 1056 ed ancora nelle Decime del Trecento, ma è stata radicalmente rimaneggiata nel XIX e XX secolo. Ad unica navata absidata, presenta la volta a botte con decorazioni ad affresco ottocentesche; addossata a sinistra dell'abside si innalza la torre campanaria a quattro luci con guglia terminale in cotto. All'interno, nella cappella di sinistra, è conservata una tela seicentesca a carattere devozionale raffigurante la Madonna in gloria tra San Michele Arcangelo e San Giuseppe; l'altare maggiore è costituito dal riutilizzo, come basamento, di un pulpito ligneo del XVI secolo.

La piazza del Comune, in pendenza, è bellissima e molto suggestiva. Sulla destra, sul muro esterno di una casa, è rimasta una scritta risalente al 1945, periodo di guerra.

Da vedere sicuramente, all'estremità dell'abitato sulla strada che conduce verso Montelucci, un bellissimo ed enorme Cristo intagliato sul legno, con la testa ripiegata. Dono della comunità di Pergine Valsugana, in provincia di Trento, l'unico altro Pergine d'Italia e legato a Pergine Valdarno da un gemellaggio.

 

LO SFRUTTAMENTO DELL'ANIDRIDE CARBONICA.

Nel Valdarno superiore sono presenti numerose sorgenti di acque acidulo minerali, ricche di anidride carbonica. Da una di queste, nel comune di Pergine Valdarno, nella seconda metà del secolo scorso prese avvio lo sfruttamento industriale dell'anidride carbonica (comunemente chiamata acido carbonico). L'abbondante presenza di questo prezioso minerale nel sottosuolo perginese ha consentito l'avvio di una singolare esperienza industriale che ha caratterizzato profondamente, nell'ultimo secolo, l'economia e la società nel comune di Pergine Valdarno. Dapprima il minerale è stato utilizzato per la produzione di biacca, una vernice coprente usata soprattutto per trattare le imbarcazioni di legno; mentre dalla fine dell'Ottocento è cominciata l'utilizzazione dell'acido carbonico confezionato in bombole e venduto in tutto il territorio nazionale per le diverse applicazioni nel campo chimico, siderurgico e alimentare. Una società di imprenditori fiorentini, la “Enrico e Giulio Pegna”, che già possedeva a Firenze uno stabilimento e un negozio per la preparazione e la vendita di prodotti chimico – farmaceutici, ha dato vita ad un'impresa, che col tempo ha notevolmente differenziato la propria produzione, soprattutto a partire dagli anni '30 quando iniziò la produzione del ghiaccio secco utile per la conservazione dei generi alimentari. Con le leggi razziali del '38 i proprietari di religione ebraica furono costretti a cedere lo stabilimento ad una società anonima, la “Pergine S.p.A.” che per lungo tempo ha primeggiato a livello nazionale nel settore specifico, occupando un centinaio di dipendenti. Nel 1996 la proprietà della “Pergine S.p.A.” è stata rilevata dalla “Air Liquide Italia S.r.l.” che nel 2012 ha chiuso lo stabilimento.

 

IL PONTE DI LEONARDO

Pergine Valdarno e il ponte Romito nello sfondo della Gioconda: secondo un prezioso studio portato avanti dall'Associazione Culturale 'La Rocca' di Laterina (AR), sembra che il ponte che si trova alla sinistra alle spalle della Gioconda nel famoso dipinto 'Monna Lisa' (a destra per chi guarda il quadro) sia proprio il vecchio Ponte Romito, ubicato nel tratto del fiume Arno che divide appunto i comuni di Pergine Valdarno e Laterina. Adesso di quel ponte rimane una sola arcata e questa ricade proprio nel territorio del comune di Pergine Valdarno. A questo proposito l'Associazione 'La Rocca', che ha collaborato con lo studioso Anselmo Rondoni per la realizzazione di un libro in merito intitolato "Il paesaggio della Gioconda", ha inviato il materiale e il libro stesso presso la città francese di Amboise, località che è stata l'ultima dimora di Leonardo da Vinci e dove Leonardo è morto nel castello omonimo. Amboise ospita tuttora un importante centro di studi e documentazione sul genio. Recentemente è arrivata la risposta interessata dal presidente che ha invitato i membri dell'associazione a recarsi in Francia a presentare di persona lo studio. Lo studio condotto dall'Associazione Culturale "La Rocca" di Laterina allarga così il proprio panorama di conoscenza ed ha ricevuto l'attenzione anche dal Louvre di Parigi, il museo dove si trova la Gioconda e dal direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci, in quanto le motivazioni e la serietà dello studio poggiano davvero su basi storiche decisamente degne di considerazione. Il libro di Anselmo Rondoni illustra gli elementi a favore dello studio secondo cui alle spalle della Monna Lisa non è rappresentato il ponte a Buriano, che si trova nel comune di Arezzo e come fino ad oggi si pensava, bensì il ponte Romito e il paesaggio collinare nei pressi di Pergine Valdarno e di Laterina. Nella risposta, il direttore Jean-Louis Sureau esprime i propri ringraziamenti per il materiale ricevuto, sottolineando l'interesse a seguire l'evoluzione dello studio e soprattutto a ricevere di persona ad Amboise coloro che si occupano di portare avanti questa ipotesi. I membri dell'associazione hanno sottolineato la loro soddisfazione, il loro onore e la sorpresa nel ricevere addirittura l'invito a recarsi personalmente in Francia. Insomma, il territorio di Pergine Valdarno sembra proprio quello riportato dal grande Leonardo Da Vinci nel più famoso dipinto del mondo e l'unica rimanenza del ponte che si vede accanto a Monna Lisa si trova proprio nel territorio comunale. E questo non può che essere motivo di orgoglio per gli abitanti.

La locazione dello sfondo della Gioconda è a cavallo fra i comuni di Laterina e Pergine Valdarno, più propriamente in gran parte di quello che è il territorio della comunità di Ponticino, frazione divisa fra questi due comuni più quello di Civitella in Val di Chiana e che ha più abitanti dei capoluoghi.

Il Ponte Romito è detto cosi perché nel vicino spedale, dedicato a San Cataldo, ora divenuto Villa di Monsoglio di cui sopra, si erano insediati uno o più penitenti, di solito terziari francescani, detti comunemente dal popolo romiti. Il ponte, di cui restano antiche strutture, era importante per le comunicazioni tra Arezzo e il Valdarno. Lo spedale era stato fondato nel 1109 dai monaci benedettini di Santa Trinita in Alpe e dipendeva dalla vicina Pieve di San Cassiano e Sant'Ippolito. Tale Pieve oggi è divenuta un complesso agricolo, dove ancora è visibile la struttura della chiesa a tre navate, I'arco della porta centrale, resti di affreschi. La Pieve fu certamente edificata su una preesistente villa romana, di cui si conservano resti dei pavimenti a mosaico, e sorgeva sulla strada che collegava il Ponte Buriano al Ponte del Romito. La torre campanaria, molto massiccia, fu forse ricavata da una torre di guardia. Non è forse solo una coincidenza che nel piano di fronte alla Pieve si siano verificate numerose battaglie. E fu per motivi di sicurezza che il pievano, alla fine del 1100 si trasferì nella chiesa di Laterina, ove furono trasferiti arredi vari, due campane, e un quadro attribuito alla scuola di Andrea del Sarto, che ritraeva la Madonna coi santi Ippolito e Cassiano, Antonio e Zenobio, quadro che nel 1634 è stato restaurato e ridimensionato.

 

STRADA ROMANA:

Tra Pieve a Presciano e il Santuario di Migliari, grazie a dei finanziamenti ad opera del Gal, si stanno riscoprendo alcuni tratti dei vecchi della strada romana che costituiva l'antico asse viario che collegava Arezzo con Siena il quale correva nel fondovalle del torrente Presciano. Si tratta di una direttrice che presenta tratti lastricati, fino a poco tempo fa coperti dalla vegetazione e non percorribili ma che adesso sono stati riportati alla luce, ma che già nel periodo romano appunto costituiva la maggiore arteria stradale tra Arezzo e Siena. Il tracciato, descritto nella Tabula Peutingeriana del IV secolo d.C. e riportato nello statuto del comune di Arezzo del 1327 con espressioni "strata per quas itur Senas e strata de Pescaiola", si dipartiva da Arezzo, in località Pescaiola, saliva verso le colline di Montelucci e attraverso la Valdambra raggiungeva Siena.

 

IL SANTUARIO DI SANTA MARIA DELLA NEVE A MIGLIARI:

Il santuario è sede di culto mariano fino dal Medioevo. È una piccola chiesetta sulla sommità di una collina da dove si gode uno splendido panorama ed è il luogo di culto più importante del comune e per tutto l'anno è meta di pellegrini e devoti che intendono chiedere protezione o esprimere ringraziamento all'immagine di Maria (la prima immagine risaliva al XV secolo, oggi sostituita con un'immagine benedetta da Papa Giovanni Paolo II). L'originale è al sicuro altrove ed è stato rimosso per la paura di eventuali furti, visto il luogo appartato e solitario in cui si trova la chiesa. Sulla parete di sinistra della chiesa c'è un quadro con le foto dei volti dei 281 giovani delle parrocchie limitrofe che nel 1942 furono chiamati alle armi e che con quel gesto chiesero la grazia nonché protezione alla Madonna di Migliari. Sarà un caso per i profani oppure si tratta di un miracolo per i credenti, ma fatto sta che tutti e 281 ritornarono a casa sani e salvi dalla guerra. La festa della Madonna di Migliari è la seconda domenica di maggio dove moltissimi pellegrini si ritrovano per trascorrere l'intera giornata lassù. Di particolare l'atmosfera decisamente spirituale della processione notturna che viene fatta tra il sabato e la domenica della festa quando la Madonna originale viene riportata nella sua chiesa accompagnata nel buio dai devoti. Altra tradizione veramente forte nella comunità, che si perde nella notte dei tempi, è il raggiungimento del Santuario a piedi da parte della popolazione nel giorno del 1º maggio per pranzare lassù tutti insieme. Recentemente è stata anche inaugurata una struttura di accoglienza coperta in acciaio, di ben 100 mt.q., proprio accanto alla chiesa per ospitare tutte le persone che raggiungono il Santuario e che si vogliono fermare per trascorrere qualche ora lassù.

 

CHIESA DI SAN PIETRO A PIEVE A PRESCIANO:

 

 

Di fondazione paleocristiana e posta lungo un antico itinerario romano,  il luogo è stato abitato fin dall’antichità. Ne è testimone il nome che viene dal latino “Praedium Prisci”, cioè un appezzamento di terreno della famiglia dei Prisci. Essendo nell’alto medioevo nel mezzo di un diverticolo di strade che univano la Valdichiana al Valdarno ed il territorio di Arezzo al senese è evidente che qui si formò un abitato interessato a questo passaggio di persone e cose, oltre che alla lavorazione dei campi. 

 

La chiesa è nata con molta probabilità prima del mille. Un primo documento che parla della Pieve è del 1021 in un rogito sottoscritto nel Castello di Bulgari. Quando si stabilizzò la potenza dell’Abbazia di Agnano la Pieve passò sotto il dominio di quella Abbazia, come attestato da un ulteriore documento del 1095.

 

Nelle Relazioni Decimali del Duecento la Pieve di San Pietro a Presciano risulta avere un terreno molto esteso che andava da Levane a Civitella e ben10 chiese suffraganee, come le chiese di S. Giovanni e S. Martino a Levane (ora pieve), di S. Biagio a Migliari, di S. Martino a Montozzi, di S. Pietro di Scesa e di S. Donato (a Migliari).

 

Nella metà del XIV° secolo il suo territorio risente della spinta all’allargamento di Firenze e della conseguente lotta con i nobili feudatari. Nel 1350 Pieve a Presciano entra nell’ottica del possesso di Firenze. Ed in quegli anni turbolenti si pongono a difesa del luogo anche delle mura e si incastella il paese.

 

Le mura, iniziate nel 1355, si edificano a fuso, come era usuale a quei tempi. Due torri sono ancora visibili, sebbene adibite a moderne abitazioni, un’altra verrà inglobata nel Palagio Serristori. La Pieve rimane però fuori dal circuito delle mura del Castello.

 

Nel Quattrocento, continuando le guerre tra Firenze e Siena e anche la Valdambra ne fa le spese subendo numerose scorrerie delle due parti. Pure Pieve a Presciano viene più volte assaltata e messa a ferro ed a fuoco. Nel Quattrocento si apportano alcune modifiche alla chiesa con la realizzazione delle prime cappelle laterali a cura delle famiglie emergenti del territorio come i Ghezzi, i Da Presciano e i Danesi.

 

Con l’avvento della “Pax Medicea” del Granducato e con la relativa politica di aiuto alla formazione di estesi possessi fondiari da parte delle famiglie fiorentine legate al potere dei Medici, in questo territorio si vedono crescere i patrimoni dei Ghezzi e degli Alberti i quali, estinguendosi in seguito al passaggio ereditario, incrementeranno quello della famiglia che diverrà dominante dei Serristori. 

 

Nella visita pastorale del 1583 la chiesa risulta in buone condizioni, posta in un castelletto con tre porte di accesso. Ancora nel 1602 la Pieve possedeva numerosi beni immobili, lo sappiamo da un inventario del 1675 che ricopia un documento di quel tempo precedente. Nel XVII° secolo si costruirono all’interno della chiesa due altari, a spese dei Ghezzi, dei Fazzuoli e dei Danesi alla cui famiglia si deve l’altare di sinistra, dedicato alla cattedra di San Pietro, della quale si nota a destra proprio lo stemma di casata. In quel periodo la chiesa fu ridecorata internamente.

 

L’edificio è stato trasformato nel XIX secolo per volere del pievano Giovanbattista Salimbeni che la ebbe in custodia. Don Salimbeni era un sacerdote reazionario, ma investito da un messianico interesse per il decoro della sua chiesa e in un cinquantennio fece cambiare l’aspetto della veneranda Pieve dandole il certo decoroso ma antistorico aspetto attuale.

 

Nel 1838 fece costruire la cappella dell'Addolorata nella parete di fronte a quella del Rosario in identiche forme settecentesche. Il nuovo campanile fu iniziato a costruire nel 1841 e terminato nel giugno 1846. Il Salimbeni si esprimeva così in una nota a margine del suo inventario: «il vecchio campanile, rozzo quanto un camino da forno, è stato rimpiazzato dall'altro a torre». Evidentemente il precedente doveva essere stato davvero brutto sul serio! Sempre il Salimbeni nel 1857 fece costruire la volta sorretta da dodici colonne, esattamente e non certo a caso proprio come il numero degli Apostoli.

 

Nel 1862 il pievano acquistò l'altare maggiore, quello che vediamo ancora oggi di rara bellezza, dai canonici di San Lorenzo a Firenze per la somma di 400 lire. Il Salimbeni alla sua morte è stato sepolto nella chiesa e infatti se guardiamo in terra in corrispondenza del transetto notiamo la lapide, purtroppo cancellata in molti punti, che ci conferma che quella è la tomba del Salimbeni. La stessa che lui volle per espresso suo desiderio, in modo che, come lasciò detto, "tutti coloro che entravano in chiesa lo potessero calpestare".

 

E dopo questo radicale rifacimento ottocentesco, possiamo oggi ammirare una Pieve con una facciata classicheggiante, ben intonacata e tinteggiata che è caratterizzata dalla presenza di due lesene quali sostegno di trabeazione e timpano. In posizione centrale sopra la porta d'ingresso è presente una nicchia con statura e una apertura a forma di mezza luna.

 

L'interno della chiesa è un'unica aula, con abside semicircolare e volta a botte, scandita da due file di colonne ai lati a sostegno degli archi di copertura. Per accedere all'area presbiteriale è presente una serliana, vale a dire un arco a tutto sesto affiancato simmetricamente da due aperture sormontate da un architrave.

 

L’altare sulla parete destra conserva un dipinto centinato con la Natività della Vergine (1675) di Givan battista Biondi.

 

Nella canonica è conservato un interessante Cristo ligneo quattrocentesco, a braccia mobili, così da poter essere utilizzato nella processione del Cristo morto.

 

Vero pezzo pregiato della chiesa è l'antico organo Paoli del 1869, fatto restaurare completamente in maniera fedelissima negli anni scorsi. Le canne furono ritrovate accartocciate e piegate in un fondo sul retro della chiesa e una volta rimesse a nuovo sono state riposizionate nella locazione originaria. L'organo emana un suono davvero eccezionale, tra i migliori in assoluto di tutta la provincia di Arezzo e non solo.

A lato della chiesa è ubicato un piccolo ma prezioso museo con numerosi oggetti sacri di notevolissimo interesse sia storico che artistico, nonché taluna preziosa reliquia come ad esempio la testa di un San Valentino, posta dentro un’urna trasparente.                                                             

 

 

IL CASTELLO DI MONTOZZI:

Esistente nel XIII secolo. Il castello andò in rovina alla fine del XIV secolo, ma si mantenne il borgo che vi era nato intorno. Nel Seicento i resti del castello vennero inglobati nel palazzo della famiglia Bartolini Baldelli.

Sorge a circa 450 m di altitudine, su una collina che domina il Valdarno superiore e la Valdambra.

Montozzi si trova citato per la prima volta nel 1036 associato all'oppidum di Bulgari, nucleo fortificato non lontano dall'attuale Castello di Montozzi. Costruito appunto dai Bulgari, alleati dei Longobardi che nel VI secolo occuparono una parte della Toscana, il castello era nelle mani della famiglia dei Sassi e il toponimo Mons Teuzi trae origine da Teuzzo di Ildebrando dei Sassi signore di Bulgari.

A partire al 1186 non si hanno più notizie di personaggi della famiglia dei Sassi sostituiti dagli Ubertini di Arezzo, già loro consorti.

 

Tra il Duecento ed il Quattrocento: gli Ubertini di Arezzo

Gli Ubertini erano una famiglia legata al potere vescovile di Arezzo. Il nuovo castello da essi voluto era sulla porzione più elevata del colle di Bulgari, in posizione dominante sulle valli circostanti. Le mura seguivano un andamento ellittico, secondo la consuetudine dei borghi incastellati d'altura toscani, con un vasto spazio aperto centrale o piazza. Presso il borgo sorgeva la chiesa extraurbana di San Martino di Tours, sorta in prossimità di una delle vie di pellegrinaggio verso Roma. Il castello è menzionato in un accordo del 1221 tra gli Ubertini e i Guidi, in cui questi ultimi si impegnarono a lasciarlo in pacifico possesso ai rivali.

Nel 1303 il castello venne espugnato e distrutto dai fiorentini in lotta con gli aretini. Restaurato dagli Ubertini, subì nuovamente la medesima sorte nel 1326, poiché questi si erano ribellati a Guido Tarlati vescovo e signore di Arezzo. Dopodiché fu radicalmente ricostruito sempre dagli Ubertini. Nel 1335 il vescovo aretino Buso degli Ubertini si sottomise alla guelfa Firenze, sotto la cui autorità passò tutta la Valdambra e nel 1337 i fiorentini realizzarono una nuova strada sul fondovalle per favorire la comunicazione verso la loro città.

Nel 1385 Azzo di Franceschino degli Ubertini sottomise a Firenze il castello di Montozzi, che entrò a far parte della podesteria di Valdambra. Nel 1399 il castello fu nuovamente assoggettato dai guelfi fiorentini dopo una ribellione. In seguito la sua importanza militare decadde e tramontò la potenza degli Ubertini, le mura e il cassero furono abbandonati e andarono in rovina.

Con l'affermarsi della Pax Florentina diverse famiglie di Firenze occuparono le terre del Valdarno e della Valdambra, conseguì nella zona stabilità politica ed impulso economico, cui si legò il parziale decadere dei nuclei fortificati ed il prolificare delle piccole villae aperte e le case si diffusero al di fuori del borgo anticamente fortificato, per meglio svolgere le attività agricole. Nel 1454 fu redatto lo statuto della comunità di Montozzi e alla fine del '400 appartiene il primo contratto noto di terre concesse Ad Medium, cioè a "mezzadria".

Nel 1555 l'intera Valdambra entrò a far parte del Granducato di Toscana.

 

Dal Cinquecento ad oggi: i Bartolini Baldelli

Nella prima metà del Cinquecento la famiglia dei Bartolini Baldelli aveva iniziato ad acquistare immobili e terre a Montozzi. Nel corso del Seicento la famiglia acquisì gran parte del borgo ed un vasto territorio circostante, anche se la loro stabile dimora era a Firenze, dove furono di generazione in generazione segretari dei granduchi e rivestirono importanti cariche politiche e amministrative. Nel 1660 i fratelli Francesco ed Ottavio Bartolini Baldelli avviarono la costruzione di un palazzo che inglobò i resti del castello, ristrutturarono inoltre il borgo come centro della proprietà.

Francesco Maria Bartolini Baldelli (1646-1711) abbellì il palazzo con affreschi. Aggiunse un doppio loggiato sul lato del giardino che fece ornare con stucchi. Infine fece costruire sul lato occidentale del palazzo la nuova chiesa dedicata ai Santi Martino e Lucia della quale ottenne il patronato da Cosimo III. Questa divenne chiesa parrocchiale al posto dell'antica chiesa di San Martino di Tours, posta fuori dal borgo e successivamente demolita.

Bartolomeo Bartolini Baldelli (1804-1868) affidò nel 1825 all'ingegner Pietro Municchi la redazione di una stima della proprietà di Montozzi, che comprendeva allora 360 anime, distribuite in 46 famiglie. Fece fare vari rilevamenti cartografici ad opera dell'ingegner Eugenio Falciani, fra cui un cabreo con 34 tavole che illustrano la fattoria ed i suoi 32 poderi. Verso il 1860 fece erigere una nuova chiesa presso il cimitero e fece realizzare intorno al castello il parco romantico all'inglese, denominato la Bandita.

Nel 1892 Luigi Bartolini Baldelli (1854-1906) terminò definitivamente gli interventi a Montozzi con l'aggiunta delle nuove scuderie e degli edifici circostanti sul lato sud del borgo, dove oggi risiede l'omonimo discendente Luigi Bartolini Baldelli.

Il palazzo fu danneggiato durante l'occupazione tedesca nella seconda guerra mondiale e fu restaurato dopo il 1945 da Carlo, Francesco e Cesare Bartolini Baldelli.

 

palazzo principale:

È una villa secentesca, di proprietà dei fratelli Giovanni Battista e Piero Bartolini Baldelli, i quali stabilmente vi risiedono.

Sorto a partire dal 1660 inglobando parte delle rovine dell'antico cassero del castello, ha pianta rettangolare, la facciata è abbellita da uno scalone a rampe speculari, un portale con concio in chiave a rilievo sormontato dall'arme Bartolini Baldelli e da cinque finestre con davanzale sorretto da mensole. È rivolta a nord ovest verso la piazzetta centrale interna del castello e dà accesso all'antica cantina.

Il doppio loggiato sulla facciata posteriore fu aggiunto agli inizi del secolo successivo, insieme alla nuova cappella, ad un granaio ed altre strutture legate alle attività agricole della proprietà. Durante tali lavori furono anche decorati gli ambienti interni con rilievi a stucco attribuiti a Giovan Martino Portogalli e affreschi di Giovan Camillo Sagrestani.

Nel 1843, in occasione della visita a Montozzi del Granduca Leopoldo II con la Granduchessa Maria Antonia, è stato rinnovato il pavimento del salone centrale, sostituendo il cotto originario con pavimento marmoreo a "Terrazzo" all'uso veneziano, e in seguito aggiunto un grande camino in stile neomedioevale.

Al termine della seconda guerra mondiale alcuni ambienti della villa furono gravemente danneggiati dalle truppe tedesche in ritirata, e furono ristrutturati dopo il 1945.

Vi si conserva l'archivio Bartolini Baldelli.

 

Chiesa dei Santi Martino e Lucia: 

Edificata a partire dal 1702 addossata al lato occidentale del palazzo, andò a incorporare l'antico oratorio dedicato a Santa Lucia.

La facciata presenta un semplice portale, in origine con frontone spezzato e trigramma Bernardiniano (danneggiati nella seconda guerra mondiale, attualmente in fase di restauro), sormontata da una semplice finestra centinata.

L'interno a navata unica, ha tre altari in pietra serena scolpita. Sull'altare di sinistra si conserva una pittura ad affresco con San Bartolomeo che libera la moglie del re d'Armenia dal demonio, del pittore fiorentino Giovanni Camillo Sagrestani, mentre l'affresco con Santa Lucia che stava sull'altare di destra è stato distrutto nel 1806 per dar luogo all'attuale nicchia con la Madonna del Rosario. L'altare centrale è sormontato da una tela di inizio Settecento di scuola fiorentina con La Trinità e la Vergine con San Martino. A sinistra vi è un quattrocentesco tabernacolo in arenaria, qui trasferito dall'antica chiesa di San Martino di Tours.

In controfacciata si legge la targa settecentesca che ricorda il giuspatronato della famiglia Bartolini Baldelli. Un coretto mette in comunicazione la chiesa con il primo piano del palazzo.

 

Cappella di San Martino nel cimitero di Montozzi: 

Bartolomeo Bartolini Baldelli nel 1866 fece edificare nel cimitero fuori Montozzi la nuova Cappella di San Martino con forme ecletticamente classicistiche, al posto della preesistente chiesetta romanica. All'interno la semplice aula è riservata alla popolazione di Montozzi mentre due scale laterali speculari conducono al piano superiore dedicato dalla famiglia Bartolini Baldelli alle lapidi commemorative (ancora oggi aggiornate). Da dietro l'altare si accede alla cappella cimiteriale con le sepolture della famiglia.

 

Il parco di Bandita ed il giardino della villa: 

Intorno al palazzo intorno alla metà dell'Ottocento Bartolomeo Bartolini Baldelli fece realizzare un parco all'inglese, con lecci e viali a tornanti, che venne chiamato "la Bandita" (zona boscosa adibita alla caccia, ma curata e segnata da sentieri). Per la realizzazione si avvalse della collaborazione di Angiolo Pucci (1791-1867), allora giardiniere del Regio orto botanico di Boboli.

Vi si accede da un cancello fiancheggiato da colonne in arenaria sormontate da vasi.

Il giardino superiore che circonda il palazzo è di stampo più formale, era spartito in otto riquadri mediante siepi di bosso. Nella seconda metà del secolo vi furono piantati cedri del Libano in grandi cerchi di pietra-spugna e alcuni alberi rari, una tuia gigante, una tuia nana, dei tassi e un pino gigante californiano (scomparso nel 1995).

 

La tenuta agricola

È formata da estese aree boschive e terreni agricoli dedicati attivamente sia alla coltivazione di viti per la produzione del Chianti e di vini IGT, sia ad olivi, cereali e foraggi. La fauna selvatica è tutelata attraverso un' "Azienda faunistico venatoria". Dal 2010 la produzione è interamente biologica.